domenica 19 dicembre 2010

Le altezze

Parlo spesso delle implicazioni filosofiche nelle arti marziali ma è bene considerare anche gli aspetti tecnici delle stesse. E' inutile allenarsi e crescere secondo uno standard prestabilito senza considerare le condizioni del proprio corpo. A tal proposito sarebbe bello parlare della differenza di altezza tra due avversari. Capita a volte di vedere questa disuguaglianza che può essere vantaggiosa sia per uno che per l'altro atleta. Questo discorso si riferisce alle discipline di striking, in quanto la mia esperienza è solamente "in piedi". Mi è capitato diverse volte di dovermi confrontare con avversari più alti e più bassi, ho visto incontri di atleti più alti e più bassi e di conseguenza ho sentito pareri di maestri "alti e bassi" anch'essi, ognuno con le proprie strategie.

Quindi ci sono delle tattiche vincenti quando ci si trova di fronte ad un avversario più alto o più basso?

Esporrò quello che è il mio pensiero, il pensiero del mio maestro di Kick-boxing, un uomo molto alto, supera i 180 cm e il pensiero di un maestro e campione di muay-thai che milita nei pesi gallo. Indicherò i pareri con A, B e C riferiti all'ordine con cui ho inserito i soggetti nel discorso precedente.

Avversario alto.
A: Con un avversario alto la mia strategia consiste nel tenerlo il più lontano possibile e schermare con i calci, nella speranza che anche lui faccia la stessa cosa, sono dell'idea che sia meglio limitare i colpi di pugno, in quanto si rischia di avvicinarsi troppo all'avversario il quale avendo leve più lunghe avrà meno difficoltà nel colpire.

B: Il mio maestro di kick-boxing è convinto che con un avversario più alto si debba sostenere un combattimento con una quantità uguale di calci e pugni ma fatta di continui spostamenti intorno all'avversario e avanti e indietro. Una vera e propria danza atta a colpire senza farsi colpire, il che può essere efficace ma si ha un notevole dipendio di energia.

C: Il campione dei pesi gallo invece sostiene che contro un avversario più alto si debba cercare la corta distanza cercando di antrare il più possibile nella guardia avversaria giocando di ganci, montanti e calci bassi, evitare gli allunghi per favorire un vero e proprio corpo a corpo.

Avversario basso
A: Personalmente sono dell'idea che contro un avversario basso si debba sfruttare il massimo della propria estensione mirando a distanza punti critici per favorire il Ko, vedi testa e fegato, questo perchè temo l'insidiosità degli avversari bassi e non saprei reagire bene se mi entrasse nella guardia.

B: Il mio maestro di Kick-boxing dice che bisogna tenerlo a distanza ma martellare molto sulle gambe, cercando di ridurne la mobilità e staticizzare il più possibile il movimento avversario, creandosi quindi la possibilità di "mirare" il più possibile.

C: Il thai-boxer sostiene che contro un avversario basso è bene cercare colpi lunghi e di spinta per allontanarlo e lavorarlo anche sul piano psicologico, ovvero cercare di rendersi impenetrabile, colpi diretti con il pugno e calci diretti per un allontanamento repentino ed esplosivo.


La mia considerazione finale riguarda soprattutto i pareri tecnici dei due maestri che dopo una breve intervista mi hanno dato un'impressione univoca. Essi hanno una strategia personale relativa alle proprie caratteristiche e quando si tratta di andare contro le stesse, (il maestro basso contro uno alto e quello alto contro uno basso) non è venuto fuori altro che una strategia contro se stessi. L'analisi oggettiva del proprio parere è risultata poi essere un'analisi contro se stessi, ovvero sconfiggere un avversario che si comporta come farebbero loro.

Nulla da dire verso questi due campioni, anche perchè se le loro strategie non fossero vincenti uno non sarebbe campione italiano e uno campione del mondo, ma sono dell'idea che la strategia si debba adattare diversamente da avversario ad avversario concentrandosi tutte le volte su qualcosa di nuovo, semplice e letale per mettere Ko l'avversario senza pensare troppo.

OSU

sabato 27 novembre 2010

Karate vs Judo

Personalmente considero il Karate e il Judo le arti marziali per ccellenza, più specificatamente il Karate Kyokushinkai e il Judo tradizionale della Kodokan. Mi sono sempre chiesto: ma chi avrebbe la meglio tra un karateka e un Judoka? Se consideriamo 2 praticanti qualsiasi non sarebbero certezze, ma se prendiamo in considerazione 2 dei più grandi budoka della storia allora la faccenda diventa interessante. Cominciamo con l'analizzare i profili tecnici e morali dei due maestri.

Masutatsu Oyama:
Oyama era una vera e propria macchina da guerra che dopo aver vissuto per 14 mesi da solo su una montagna è sceso è si è messo ad abbattare tori a mani nude, ben 52! Buon background. Non disdegnava la pratica della meditazione, tutt'altro inquadrò il Kyokushin come una bilancia dove Zen e pratica dovevano avere lo stesso peso.


Jigoro Kano:
Grande studioso delle arti antiche e tradizionali d edicò tutta la sua vita allo studio e allo sviluppo di "una disciplina che potesse portare a grandi risultati con il minimo sforzo". Dava importanza anzitutto all'acquisizione della "Via" e la tecnica veniva concepita unicamente come il mezzo per raggiungere tale obiettivo. Non si hanno notizie di combattimenti ma è nota la perfezione della sua tecnica.

A questo punto come facciamo ad immaginare un risultato? Il primo è un lottatore che ha al suo attivo numerosi combattimenti dal risultato positivo, il secondo è un professore che ha fatto si che la sua tecnica non uscisse mai dal Dojo. Analizziamo ancora più puntigliosamente. Il Karate è una disciplina che offre moltissimo sul combattimento a media e a lunga distanza, tecniche di braccia e di gambe atte a neutralizzare l'avversario prima che possa avvicinarsi a una distanza pericolosa. Il Judo tradizionale è una disciplina che da il meglio di se nella distanza ravvicinata, in quanto il bagaglio tecnico comprende proiezioni e atterramenti.

Quindi per vincere il Karatek dovrebbe tenere a debita distanza il Judoka e avere la capacità di infliggere colpi destabilizzanti, allo stesso modo il Judoka dovrebbe avere la stessa capacità di entrare nella guardia del Karateka e applicare la propria tecnica.

Chi tra Oyama e Kano prevalrebbe sull'altro? Oyama avrebbe la capacità di contrastare la tecnica di Kano? E Kano avrebbe la capacità di contrastare la tecnica di Oyama? Come potremmo noi mortali decidere o anche solo immaginare il risultato di un incontro tra due leggende?

Quello da me fatto è forse una considerazione oltraggiosa per tutte e due le discipline ma ecco che sinceramente posso dire di non aver mai immaginato un risultato che andasse oltre il pareggio. Quando non c'è dislivello tecnico, spirituale e mentale come si può immaginare vittoria o sconfitta tra due contendenti?

Oyama e Kano sono ancora oggi due punti di riferimento per molti, furono pionieri di discipline che sono diventati veri e propri stili di vita, discipline che se praticate possono cambiare il modo di vedere il mondo. E' stato bello immaginare ma sono anche felice che non sia mai stato disputato un incontro tra i due anche perchè temporalmente impossibile.

venerdì 22 ottobre 2010

Zen

Zen... Meditazione... Un termine unico e semplice per indicare una pratica che è tutt'altro che tale. Sono anni che provo a praticare, sono anni che mi chiedo a cosa serva realmente la pratica, qual'è il risultato da raggiungere e come fare a riconoscerlo.


Grazie al Karate aadesso ho capito che queste sono domande superflue, queste domande non sono Zen, queste domande appesantiscono lo spirito. La pratica Zen è un semplice stile di vita atto alla semplice azione di "apprezzare qui e ora" in giapponese Gas-Sho. Con il Karate sono riuscito a raggiungere piccoli risultati che prima non avevo mai nemmeno immaginato, riuscire ad assaporare la pace, liberare l'energia e sentire quella degli altri.


Il viaggio verso l'illuminazione è lungo e tortuoso, ma bellissimo perchè godibile passo dopo passo. Il Karate, lo Zen e tutte le arti sono un cammino, fatto di passi, a volte lunghi a volte corti, ma essi non devono mai essere nè piccoli rendendo statico il viaggio nè lunghi tralasciando qualcosa alle spalle, devono essere giusti, e la misura standard può provenire solamente dal nostro spirito. Bisogna quindi imparare a camminare, ovvero mettere il nostro spirito in condizione di apprendere qualcosa dalla pratica e dopo mettersi in cammino cominciando con la vera e propria meditazione.


Lasciare alle spalle ogni pensiero, ogni dubbio, ogni ragione è uno dei primi passi sulla Via dello Zen.


OSU!

martedì 30 marzo 2010

Imparare, crescere e comprendere

Imparare, crescere e comprendere, questo è il titolo oggi. Con il passare del tempo si impara con il passare del tempo si cresce, a livello interiore e si acquisiscono informazioni tali da comprendere delle realtà. Ma quanto è cambiato il mondo delle arti marziali in appena 50 anni? Sono giovane, forse troppo per esprimermi in merito ma riconosco alcune cose. Una su tutti, il business. Business significa denaro, e tutto ciò è presente nel mondo marziale moderno. Parlando con "colleghi" ci rendiamo sempre più conto di come adesso sia il denaro a mandare avanti questo mondo, il mondo di discipline che lasciano sempre più la filosofia per la sportività. Perchè abbandonare la Via? Per fama? Cosa cercano tutte quelle persone che fanno del combattimento la propria vita? Prima era l'arte marziale, l'insieme di tutto a fare la vita, non una parte della disciplina.

La mia mentalità sta nel mezzo della nuova e della vecchia. Gli anziani sono soliti dire che la competizione indebolisce, i giovani ricercano il confronto per dimostrare di essere più forti. Il mio pensiero è a metà, la mia voglia di competere non proviene dalla voglia di vincere, ma dalla voglia di imparare e mettermi alla prova sotto il profilo tecnico-psicologico. Una gara non è come un semplice allenamento, la tensione si alza e lo stress prende il sopravvento, situazione complementare a quella di una possibile aggressione reale, dove la lucidità lascia il posto alla paura e a volte al panico. E in tutti e due i casi bisogna combattere. Il gareggiare quindi può essere uno stimolo al controllo emotivo, cercare la calma in momenti di agitazione, allena la mente e il corpo a rendere indifferente lo spirito e applicare le conoscenze in maniera corretta. Ma ci sono persone che agoniano il ring o il tatami solo per fare a botte, per la voglia di affrontare qualcuno, e questo va contro i principi delle arti marziali.

Funakoshi diceva :- Non si deve pensare a vincere ma pensare a come non perdere. Concetto secondo me meraviglioso. Ritornando al discorso iniziale, rimane il fatto che troppe scuole moderne non sono fondate appunto su veri principi morali, ma solo sul fatto se l'allievo è in grado o no di pagare la retta. I maestri si allontanano sempre di più dai concetti basilari della disciplina, sia tecnici che morali, trasmettendo quindi concetti sbagliati alle generazioni successive, che faranno poi lo stesso. Questa è la conseguenza di una globalizzazione sportiva che ha voluto tramandare le socializzazioni competitive piuttosto che quelle di apprendimento. Dovremmo un po' tutti aprire gli occhi e domandarci se è per questo che sono nate le arti marziali, e se stiamo seguendo la giusta via. Dobbiamo essere consapevoli di ciò che facciamo e guardare indietro piuttosto che avanti, avere in testa il conctto che c'è sempre qualcosa da imparare e ritornare alle origini evitando questa involuzione marziale. I maestri del passato ci guardano da lassu e noi dobbiamo onorarli facendo nostri i principi per i quali hanno dedicato la vita.

domenica 29 novembre 2009

Il senso della Competizione

Dopo mesi mi rimetto a scrivere un nuovo pensiero su questa umile pagina online. L'estate è passata e l'inverno è alle porte, il mondo cambia ma non il mio spirito. La mia voglia di combattere rimane sempre la stessa. La mia voglia di migliorare, la mia voglia di superare me stesso. Questo rimane invariato.




In questi mesi mi si è presentata davanti l'opportunità di poter combattere di poter partecipare a quelle gare che tanto aspettavo. Anche il mio Maestro mi aveva dato l'ok per partecipare. Ero convinto, motivato e veramente carico quando prima di cominciare la tabella per gli allenamenti mi sono imbattuto in questa frase. Guardando Karate kid, si quel film famoso anni 90, mi è rimasta impressa una frase del "Sensei" Miyagi.




Durante una scena Daniel chiede al maestro di poter combattere nuovamente al torneo di Karate ma il maestro è contrario e all'insistenza dell'allievo risponde così




:-Daniel-San se Karate è usato per difendere l'onore e difendere la vita allora Karate significa qualcosa. Ma se Karate viene usato per difendere un trofeo di ferro e plastica non significa niente.




Questa frase mi ha fatto pensare molto. Ora io provengo dalla scuola Karate e milito in scuola kick-boxng ma penso che gli insegnamenti del mio Maestro sono intrinsechi di filosofia oltre che tecnica. Mi sono allora chiesto se fosse giusto azzardare tanto dopo nemmeno un anno di pratica. La mia partecipazione sarebe stata guidata dall'euforia o dalla saggezza di poter apprendere qualcosa anche da questo evento? Ho capito che combattere non significa vincere per forza, l'ho capito durante le sessioni di combattimento con i miei compagni. Non mi sento felice quando riesco a colpire qualcuno in volto con un bel pugno o quando prevalgo su un mio compagno meno esperto. Mi sento appagato quando riesco ad apprendere qualcosa da qualcuno che arriva e mi colpisce non necessariamente facendomi male ma quando l'esperienza combattiva diventa anche esperienza didattica. Se la volta prima il mio partner era riuscito a colpirmi con una certa tecnica la volta dopo riesco a schivarla, pararla o addirittura controattaccare. E' in quel momento che mi sento soddisfatto, quando realizzo di aver appreso qualcosa. Riconosco che vado a piccoli passi ma uno dopo l'altro formano un cammino e se quando ho iniziato era la preparazione al "viaggio" adesso sento come avessi varcato varcato la soglia di casa per immettermi sul lungo sentiero su cui la mia Arte mi conduce.




osu


sabato 20 giugno 2009


E' da molto che non scrivo su questo blog dove soltanto il mio maestro e il mio migliore amico sembrano dare un'occhiata.

Di cose ne sono successe veramente tantissime. Le più importanti? L'esame per il passaggio di cintura e la brutta mononucleosi che sembra voglia fermarmi a tutti i costi.


Giovedì 21 maggio si è tenuto il mio primo easame di passaggio con la mia nuova scuola di arti marziali. E' stata un'esperienza veramente importante. Era da tempo che non passavo di grado, e farlo in una disciplina che sembra diventata parte di me è una soddisfazione ancora più grande. Nella kik boxing non usa portare la cintura (obi) alla vita, solamente nelle competizioni di light contact. Ma alla fine dell'esame, nella mia borsa c'era una cintura gialla che ho stretto pensando a come è cambiata la mia vita dall'ultima volta che si strinse intorno al mio gi. Il percorso che ho seguito insieme al mio maestro nell'arco di tempo che mi ha portato all'esame è stato meraviglioso. E sarà una delle cose che rimarranno per sempre nel mio cuore. Anche le nuove amicizie hanno contribuito a rendere sempre più speciale questo tragitto e sono sicuro lo sarà per sempre. L'unico problema è che subito dopo l'esame qualcosa è andato storto la malattia del bacio mi ha costretto a letto per una decina di giorni, e questo è il meno! Devo stare fremo per ancora molto tempo in quanto sembra che le mie interiora siano "devastate". Ma è difficile non mettere piede sul tatatmi, pensando a quanto sia divertente allenarsi con queste persone e a quanto possa servire colpire un saccone e quanto sia bello uscire con un inchino onorando il lavoro di un pomeriggio. A settembre si ricomincia.


Il leone è pronto per il prossimo round.



Guerriero nel vento,
immobile spada.
Affila lo spirito.

mercoledì 8 aprile 2009

I guerrieri






Pochi giorni fa ho letto un libro che mi ha veramente fatto pensare e riflettere. Il titolo era "la storia dei 47 Ronin". Leggendo questo libro ci si fa un'idea piuttosto concreta di quello che era un vero e proprio guerriero giapponese. La classe dei guerrieri è qualcosa che possiamo trovare in qualsiasi tempo e cultura. Ecco io mi chiedo chi è un vero guerriero?
I samurai, combattenti del giappone che fu, sono un esempio da poter imitare. Pensare che si possa vivere solamente per servire, ma soprattutto morire per il proprio signore è un tipo di idea che non riesco a condividere. I samurai basavano il loro codice, il bushido, proprio su questo. Servire il proprio padrone fino alla morte. Io credo che essere guerrieri, veri combattenti non significhi questo. Un vero guerriero deve combattere per ciò in cui crede, deve essere disposto a dare la vita per qualcuno che ama, per una persona che conta davvero nella vita. Questo è ciò che rende un uomo onorevole chi si sacrifica poi per un ideale allora è un eroe. Questo perchè tenta di cambiare qualcosa non solo per se stesso o per chi gli è vicino, ma per tutte le persone. A tal proposito, leggevo su una rivista di arti marziali che da poco è morto un famoso maestro di brazilian ju-jitsu Helio Gracie. Veniva raccontata tutta la sua storia e veniva appunto definito come un vero e proprio guerriero. In un paragrafo di questo articolo ho letto qualcosa che mi ha realmente sconvolto. Gracie era sposato con una donna incapace di dargli dei figli allora lui l'ha lasciata e si è sposato con la domestica grazie alla quale ha avuto dei bambini, dopo di che si è trovato una terza moglie e ha proliferato nuovamente. Si elogiavano le sue azioni secondo le quali è grazie all'assenza di amore e sentimenti che si diventa dei veri combattenti. Io credo che chi si comporti così non può essere definito uomo, ma solamente bestia. Gli animali vivono per riprodursi, le piante. Ma l'uomo no, l'uomo vive per amare e nel MIO bushido c'è scritto che un vero guerriero deve combattere per qualcuno o per qualcosa per poter essere chiamato così.