giovedì 14 aprile 2011

Resistere fino alla fine

E' molto tempo che non scrivo, forse troppi impegni, troppi pensieri o semplicemente troppa poca voglia di riflettere seriamente su me stesso. Durante questo periodo sono state diverse le prove che ho affrontato, tutte molto personali, ma una in particolare mi ha reso e mi sta rendendo migliore, il desiderio di non abbandonarsi mai.


Ebbene grazie al Karate sono riuscito ad imparare un nuovo punto di forza da poter sfruttare anche fuori dal Dojo. Un principio che si può riassumere in una sola parola, OSU, che letteralmente e volgarmente significa avere la voglia di ribattere la testa su un determinato ostacolo da superare ad ogni costo.


Tutto questo è scaturito fuori durante una delle tante lezioni e durante uno dei più duri che si possa affrontare nella stessa, flessioni. Flessioni in ogni modo, perchè Questo Karate non solo ha la meravigliosa caratteristica di rimandare alle origini la disciplina ma ha la meravigliosa capacità di fantasticare su ogni modo possibile di migliorarsi in ogni piccolo aspetto. Così da una flessione a mano aperta si passa a concentrare la forza su ogni punto d'appoggio.


Nel mentre quindi stavo flettendo il mio corpo per la medesima volta verso terra ho avvertito la necessità di smettere, di porre fine al supplizio, una voce interna diceva :- Basta, fa male, posso smettere ho già dato... E nel mentre pensavo a questo mi sono girato verso un compagno anziano, che con una sola mano stava tenendo testa alla mia stessa prova. Non capivo, come poteva arrivare a tanto?


Dopo qualche giorno ho chiesto dubbioso consiglio al mio Maestro il quale mi ha dato la seguente indicazione :- Vedi, dopo un certo numero di esercizi il corpo comincia a cedere e supplicare, la mente viene influenzata da ciò e decide di porre fine, ma il corpo sa che può dare di più, solo che non se la sente. Allora tu dovrai addestrare la tua mente affinchè si tappi gli orecchi e apra la bocca per chiamare in causa lo spirito, il quale potrà dare sostgno al corpo e portarlo oltre il limite. E' il principio dell'OSU.


Allora ho cominciato a capire ciò che voleva dirmi. Osu vuol dire sbattere la testa contro il muro e continuare a farlo perchè c'è qualcosa di più dietro un semplice gesto, c'è la capacità di aprire i rubinetti dell'anima per unificare mente, corpo e spirito, per far si che niente sia impossibile, che niente ci impedisca di dare tutto per superare un ostacolo, è vero a volte il muro è così alto che non basta un semplice salto, ci vuole la voglia di scalarlo ed è li, quando il muro è più alto di ciò che sembrava che dobbiamo dare il massimo per raggiungere la cima, perchè se ci lasciassimo andare non faremmo altro che ricadere in basso e ricominciare tutto da capo.


A tal proposito vorrei aggiungere che durante una sessione di potenziamento sono riuscito ad evitare di ascoltare il mio corpo e proseguire oltre, così tanto che ad un certo punto mi sono ritrovato faccia a terra, i miei bracci non rispondevano più, erano stati zittiti dalla forza della mente, e in quel momento pur essendo a terra, pur non sentendo più gli arti sono rimasto soddisfatto e ho detto :- Ecco questo è l'unico limite che mi posso permettere, quando il corpo automaticamente deve spengersi per evitare un black-out, ma per il resto del tempo ci vuole solamente il massimo regime di consumo.


OSU

venerdì 7 gennaio 2011

Filosofia sempre e comunque

Questa volta mi piacerebbe molto parlare di un argomento che viene sottovalutato molte volte: la filosofia negli sport da combattimento. Vorrei prendere come esempio il pugilato, disciplina che per eccellenza si mette in prima fila per quanto riguarda gli sport "marziali". Però non tutti sanno che esiste un documento non scritto che contiene il codice morale del vero pugile, principi che rispecchiano molto la natura sportiva della boxe ma che allo stesso modo fanno pensare che chi combatte sul ring è un vero e proprio guerriero alla pari di tutti.


La lista viene comunemente chiamata decalogo del pugile.


1) Quando un avversario si mostra sleale, non ti abbassare al suo livello. Comunque vada a finire, sei stato il più forte.


2) La costanza nella preparazione atletica ti garantisce la vittoria più importante, quella su te stesso.


3) Quando sei nettamente superiore al tuo avversario non umiliarlo, il tuo onore cadrebbe al tappeto.


4) Ogni combattimento ti costa pena e dolore, la vera sfida è sconfiggere loro.


5) Intelligenza è anche capire quando accettare una sconfitta. Insieme alla spugna avrai gettato le basi per un nuovo incontro.


6) Sul ring non devi temere nessuno ma rispettare tutti, dall'arbitro all'ultimo degli spettatori.


7) Accettare una sconfitta ingiusta ti fa più onore di una vittoria.


8) Per essere un vero pugile serve forza fisica ma soprattutto spirituale: onestà, laboriosità e serietà.


9) Chi ama il pugilato rispetta tutto ciò che fa parte di questo mondo. Si può perdere un incontro ma non si deve mai perdere la testa.


10) Dopo un incontro ricordati sempre che il tuo avversario ha un grande amore in comune con te: la boxe.


Ecco a questo punto mi piacerebbe commentare dei punti che in qualche modo hanno delle analogie con le arti marziali.


Se guardiamo il punto 2 troviamo una somiglianza incredibile con uno dei principi più importanti delle arti marziali, la vittoria su se stessi. Nel pugilato viene vista da un punto prettamente fisico a differenza nostra che ci concenrtiamo anche sull'aspetto psicologico del nostro ego da abbattere, ma allo stesso modo l'analogia tra i due principi è veramente importante.


Se guardiamo il punto quattro troviamo anche li delle analogie, sconfiggere il dolore, nella boxe è un problema del ring per noi è un problema continuo ma il concetto che sta alla base è quello di insegnare alla mente a non ascoltare le suppliche del corpo.


E infine al punto 8 viene chiaramente detto che il pugile non è solamente espressione di forza bruta ma anche spirituale, questo è molto importante, ci deve essere sempre una ragione per combattere.


Concludo dicendo che questi paragoni sono stati fatti per avvicinare gli artisti marziali a un mondo che ripudiano e viceversa, mettendo in risalto principi che alla fine sono comuni ad ogni pratica marziale. Io pratico Karate ma rispetto ogni altro praticante così come ogni altro uomo, perchè sono dell'idea che si possa imparare qualcosa da ogni persona che incontriamo sul nostro cammino.


OSU

domenica 19 dicembre 2010

Le altezze

Parlo spesso delle implicazioni filosofiche nelle arti marziali ma è bene considerare anche gli aspetti tecnici delle stesse. E' inutile allenarsi e crescere secondo uno standard prestabilito senza considerare le condizioni del proprio corpo. A tal proposito sarebbe bello parlare della differenza di altezza tra due avversari. Capita a volte di vedere questa disuguaglianza che può essere vantaggiosa sia per uno che per l'altro atleta. Questo discorso si riferisce alle discipline di striking, in quanto la mia esperienza è solamente "in piedi". Mi è capitato diverse volte di dovermi confrontare con avversari più alti e più bassi, ho visto incontri di atleti più alti e più bassi e di conseguenza ho sentito pareri di maestri "alti e bassi" anch'essi, ognuno con le proprie strategie.

Quindi ci sono delle tattiche vincenti quando ci si trova di fronte ad un avversario più alto o più basso?

Esporrò quello che è il mio pensiero, il pensiero del mio maestro di Kick-boxing, un uomo molto alto, supera i 180 cm e il pensiero di un maestro e campione di muay-thai che milita nei pesi gallo. Indicherò i pareri con A, B e C riferiti all'ordine con cui ho inserito i soggetti nel discorso precedente.

Avversario alto.
A: Con un avversario alto la mia strategia consiste nel tenerlo il più lontano possibile e schermare con i calci, nella speranza che anche lui faccia la stessa cosa, sono dell'idea che sia meglio limitare i colpi di pugno, in quanto si rischia di avvicinarsi troppo all'avversario il quale avendo leve più lunghe avrà meno difficoltà nel colpire.

B: Il mio maestro di kick-boxing è convinto che con un avversario più alto si debba sostenere un combattimento con una quantità uguale di calci e pugni ma fatta di continui spostamenti intorno all'avversario e avanti e indietro. Una vera e propria danza atta a colpire senza farsi colpire, il che può essere efficace ma si ha un notevole dipendio di energia.

C: Il campione dei pesi gallo invece sostiene che contro un avversario più alto si debba cercare la corta distanza cercando di antrare il più possibile nella guardia avversaria giocando di ganci, montanti e calci bassi, evitare gli allunghi per favorire un vero e proprio corpo a corpo.

Avversario basso
A: Personalmente sono dell'idea che contro un avversario basso si debba sfruttare il massimo della propria estensione mirando a distanza punti critici per favorire il Ko, vedi testa e fegato, questo perchè temo l'insidiosità degli avversari bassi e non saprei reagire bene se mi entrasse nella guardia.

B: Il mio maestro di Kick-boxing dice che bisogna tenerlo a distanza ma martellare molto sulle gambe, cercando di ridurne la mobilità e staticizzare il più possibile il movimento avversario, creandosi quindi la possibilità di "mirare" il più possibile.

C: Il thai-boxer sostiene che contro un avversario basso è bene cercare colpi lunghi e di spinta per allontanarlo e lavorarlo anche sul piano psicologico, ovvero cercare di rendersi impenetrabile, colpi diretti con il pugno e calci diretti per un allontanamento repentino ed esplosivo.


La mia considerazione finale riguarda soprattutto i pareri tecnici dei due maestri che dopo una breve intervista mi hanno dato un'impressione univoca. Essi hanno una strategia personale relativa alle proprie caratteristiche e quando si tratta di andare contro le stesse, (il maestro basso contro uno alto e quello alto contro uno basso) non è venuto fuori altro che una strategia contro se stessi. L'analisi oggettiva del proprio parere è risultata poi essere un'analisi contro se stessi, ovvero sconfiggere un avversario che si comporta come farebbero loro.

Nulla da dire verso questi due campioni, anche perchè se le loro strategie non fossero vincenti uno non sarebbe campione italiano e uno campione del mondo, ma sono dell'idea che la strategia si debba adattare diversamente da avversario ad avversario concentrandosi tutte le volte su qualcosa di nuovo, semplice e letale per mettere Ko l'avversario senza pensare troppo.

OSU

sabato 27 novembre 2010

Karate vs Judo

Personalmente considero il Karate e il Judo le arti marziali per ccellenza, più specificatamente il Karate Kyokushinkai e il Judo tradizionale della Kodokan. Mi sono sempre chiesto: ma chi avrebbe la meglio tra un karateka e un Judoka? Se consideriamo 2 praticanti qualsiasi non sarebbero certezze, ma se prendiamo in considerazione 2 dei più grandi budoka della storia allora la faccenda diventa interessante. Cominciamo con l'analizzare i profili tecnici e morali dei due maestri.

Masutatsu Oyama:
Oyama era una vera e propria macchina da guerra che dopo aver vissuto per 14 mesi da solo su una montagna è sceso è si è messo ad abbattare tori a mani nude, ben 52! Buon background. Non disdegnava la pratica della meditazione, tutt'altro inquadrò il Kyokushin come una bilancia dove Zen e pratica dovevano avere lo stesso peso.


Jigoro Kano:
Grande studioso delle arti antiche e tradizionali d edicò tutta la sua vita allo studio e allo sviluppo di "una disciplina che potesse portare a grandi risultati con il minimo sforzo". Dava importanza anzitutto all'acquisizione della "Via" e la tecnica veniva concepita unicamente come il mezzo per raggiungere tale obiettivo. Non si hanno notizie di combattimenti ma è nota la perfezione della sua tecnica.

A questo punto come facciamo ad immaginare un risultato? Il primo è un lottatore che ha al suo attivo numerosi combattimenti dal risultato positivo, il secondo è un professore che ha fatto si che la sua tecnica non uscisse mai dal Dojo. Analizziamo ancora più puntigliosamente. Il Karate è una disciplina che offre moltissimo sul combattimento a media e a lunga distanza, tecniche di braccia e di gambe atte a neutralizzare l'avversario prima che possa avvicinarsi a una distanza pericolosa. Il Judo tradizionale è una disciplina che da il meglio di se nella distanza ravvicinata, in quanto il bagaglio tecnico comprende proiezioni e atterramenti.

Quindi per vincere il Karatek dovrebbe tenere a debita distanza il Judoka e avere la capacità di infliggere colpi destabilizzanti, allo stesso modo il Judoka dovrebbe avere la stessa capacità di entrare nella guardia del Karateka e applicare la propria tecnica.

Chi tra Oyama e Kano prevalrebbe sull'altro? Oyama avrebbe la capacità di contrastare la tecnica di Kano? E Kano avrebbe la capacità di contrastare la tecnica di Oyama? Come potremmo noi mortali decidere o anche solo immaginare il risultato di un incontro tra due leggende?

Quello da me fatto è forse una considerazione oltraggiosa per tutte e due le discipline ma ecco che sinceramente posso dire di non aver mai immaginato un risultato che andasse oltre il pareggio. Quando non c'è dislivello tecnico, spirituale e mentale come si può immaginare vittoria o sconfitta tra due contendenti?

Oyama e Kano sono ancora oggi due punti di riferimento per molti, furono pionieri di discipline che sono diventati veri e propri stili di vita, discipline che se praticate possono cambiare il modo di vedere il mondo. E' stato bello immaginare ma sono anche felice che non sia mai stato disputato un incontro tra i due anche perchè temporalmente impossibile.

venerdì 22 ottobre 2010

Zen

Zen... Meditazione... Un termine unico e semplice per indicare una pratica che è tutt'altro che tale. Sono anni che provo a praticare, sono anni che mi chiedo a cosa serva realmente la pratica, qual'è il risultato da raggiungere e come fare a riconoscerlo.


Grazie al Karate aadesso ho capito che queste sono domande superflue, queste domande non sono Zen, queste domande appesantiscono lo spirito. La pratica Zen è un semplice stile di vita atto alla semplice azione di "apprezzare qui e ora" in giapponese Gas-Sho. Con il Karate sono riuscito a raggiungere piccoli risultati che prima non avevo mai nemmeno immaginato, riuscire ad assaporare la pace, liberare l'energia e sentire quella degli altri.


Il viaggio verso l'illuminazione è lungo e tortuoso, ma bellissimo perchè godibile passo dopo passo. Il Karate, lo Zen e tutte le arti sono un cammino, fatto di passi, a volte lunghi a volte corti, ma essi non devono mai essere nè piccoli rendendo statico il viaggio nè lunghi tralasciando qualcosa alle spalle, devono essere giusti, e la misura standard può provenire solamente dal nostro spirito. Bisogna quindi imparare a camminare, ovvero mettere il nostro spirito in condizione di apprendere qualcosa dalla pratica e dopo mettersi in cammino cominciando con la vera e propria meditazione.


Lasciare alle spalle ogni pensiero, ogni dubbio, ogni ragione è uno dei primi passi sulla Via dello Zen.


OSU!

martedì 30 marzo 2010

Imparare, crescere e comprendere

Imparare, crescere e comprendere, questo è il titolo oggi. Con il passare del tempo si impara con il passare del tempo si cresce, a livello interiore e si acquisiscono informazioni tali da comprendere delle realtà. Ma quanto è cambiato il mondo delle arti marziali in appena 50 anni? Sono giovane, forse troppo per esprimermi in merito ma riconosco alcune cose. Una su tutti, il business. Business significa denaro, e tutto ciò è presente nel mondo marziale moderno. Parlando con "colleghi" ci rendiamo sempre più conto di come adesso sia il denaro a mandare avanti questo mondo, il mondo di discipline che lasciano sempre più la filosofia per la sportività. Perchè abbandonare la Via? Per fama? Cosa cercano tutte quelle persone che fanno del combattimento la propria vita? Prima era l'arte marziale, l'insieme di tutto a fare la vita, non una parte della disciplina.

La mia mentalità sta nel mezzo della nuova e della vecchia. Gli anziani sono soliti dire che la competizione indebolisce, i giovani ricercano il confronto per dimostrare di essere più forti. Il mio pensiero è a metà, la mia voglia di competere non proviene dalla voglia di vincere, ma dalla voglia di imparare e mettermi alla prova sotto il profilo tecnico-psicologico. Una gara non è come un semplice allenamento, la tensione si alza e lo stress prende il sopravvento, situazione complementare a quella di una possibile aggressione reale, dove la lucidità lascia il posto alla paura e a volte al panico. E in tutti e due i casi bisogna combattere. Il gareggiare quindi può essere uno stimolo al controllo emotivo, cercare la calma in momenti di agitazione, allena la mente e il corpo a rendere indifferente lo spirito e applicare le conoscenze in maniera corretta. Ma ci sono persone che agoniano il ring o il tatami solo per fare a botte, per la voglia di affrontare qualcuno, e questo va contro i principi delle arti marziali.

Funakoshi diceva :- Non si deve pensare a vincere ma pensare a come non perdere. Concetto secondo me meraviglioso. Ritornando al discorso iniziale, rimane il fatto che troppe scuole moderne non sono fondate appunto su veri principi morali, ma solo sul fatto se l'allievo è in grado o no di pagare la retta. I maestri si allontanano sempre di più dai concetti basilari della disciplina, sia tecnici che morali, trasmettendo quindi concetti sbagliati alle generazioni successive, che faranno poi lo stesso. Questa è la conseguenza di una globalizzazione sportiva che ha voluto tramandare le socializzazioni competitive piuttosto che quelle di apprendimento. Dovremmo un po' tutti aprire gli occhi e domandarci se è per questo che sono nate le arti marziali, e se stiamo seguendo la giusta via. Dobbiamo essere consapevoli di ciò che facciamo e guardare indietro piuttosto che avanti, avere in testa il conctto che c'è sempre qualcosa da imparare e ritornare alle origini evitando questa involuzione marziale. I maestri del passato ci guardano da lassu e noi dobbiamo onorarli facendo nostri i principi per i quali hanno dedicato la vita.

domenica 29 novembre 2009

Il senso della Competizione

Dopo mesi mi rimetto a scrivere un nuovo pensiero su questa umile pagina online. L'estate è passata e l'inverno è alle porte, il mondo cambia ma non il mio spirito. La mia voglia di combattere rimane sempre la stessa. La mia voglia di migliorare, la mia voglia di superare me stesso. Questo rimane invariato.




In questi mesi mi si è presentata davanti l'opportunità di poter combattere di poter partecipare a quelle gare che tanto aspettavo. Anche il mio Maestro mi aveva dato l'ok per partecipare. Ero convinto, motivato e veramente carico quando prima di cominciare la tabella per gli allenamenti mi sono imbattuto in questa frase. Guardando Karate kid, si quel film famoso anni 90, mi è rimasta impressa una frase del "Sensei" Miyagi.




Durante una scena Daniel chiede al maestro di poter combattere nuovamente al torneo di Karate ma il maestro è contrario e all'insistenza dell'allievo risponde così




:-Daniel-San se Karate è usato per difendere l'onore e difendere la vita allora Karate significa qualcosa. Ma se Karate viene usato per difendere un trofeo di ferro e plastica non significa niente.




Questa frase mi ha fatto pensare molto. Ora io provengo dalla scuola Karate e milito in scuola kick-boxng ma penso che gli insegnamenti del mio Maestro sono intrinsechi di filosofia oltre che tecnica. Mi sono allora chiesto se fosse giusto azzardare tanto dopo nemmeno un anno di pratica. La mia partecipazione sarebe stata guidata dall'euforia o dalla saggezza di poter apprendere qualcosa anche da questo evento? Ho capito che combattere non significa vincere per forza, l'ho capito durante le sessioni di combattimento con i miei compagni. Non mi sento felice quando riesco a colpire qualcuno in volto con un bel pugno o quando prevalgo su un mio compagno meno esperto. Mi sento appagato quando riesco ad apprendere qualcosa da qualcuno che arriva e mi colpisce non necessariamente facendomi male ma quando l'esperienza combattiva diventa anche esperienza didattica. Se la volta prima il mio partner era riuscito a colpirmi con una certa tecnica la volta dopo riesco a schivarla, pararla o addirittura controattaccare. E' in quel momento che mi sento soddisfatto, quando realizzo di aver appreso qualcosa. Riconosco che vado a piccoli passi ma uno dopo l'altro formano un cammino e se quando ho iniziato era la preparazione al "viaggio" adesso sento come avessi varcato varcato la soglia di casa per immettermi sul lungo sentiero su cui la mia Arte mi conduce.




osu